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La rivoluzione narrativa:Nuove tematiche a forte connotazione psicologica e filosofica, nonché originalissime tecniche narrative, vennero sviluppate a un livello straordinario di complessità e profondità nei primi decenni del XX secolo da quattro scrittori, che segnarono in maniera determinante lo sviluppo della narrativa occidentale: il francese Marcel Proust, l'irlandese James Joyce, l'ebreo praghese di lingua tedesca Franz Kafka e l'austriaco Robert Musil. Nei sette volumi che compongono il ciclo romanzesco di Alla ricerca del tempo perduto (1913-1927), Proust compì una delle più ambiziose imprese della letteratura di tutti i tempi. Nel contesto di una società sottoposta a un profondo cambiamento sociale, che assiste al definitivo declino del mondo aristocratico, egli analizzò minutamente le dinamiche della psicologia amorosa e i meccanismi della memoria, cogliendo insieme la relatività della dimensione temporale e la possibilità per ogni uomo, attraverso gli incontrollabili meccanismi della memoria involontaria, di rivivere l'essenza stessa del proprio passato: un compito che si identifica con la ricerca della verità che è propria della letteratura. Ulisse (1922) di Joyce riprende il modello narrativo dell'Odissea di Omero, anche se la sua azione è circoscritta a quanto accade nell'arco di una sola giornata nella Dublino contemporanea. Una delle caratteristiche più originali della scrittura di Joyce è l'impiego sistematico delle tecniche del monologo interiore e del flusso di coscienza, attraverso le quali l'autore rappresenta, per così dire, "in presa diretta" lo scorrere incessante e spesso informe dei pensieri, delle percezioni, delle associazioni mentali consapevoli e inconsapevoli dei personaggi. Un peso decisivo nell'evoluzione delle tecniche romanzesche spetta anche a Kafka, che in romanzi come Il processo (1925) e Il castello (1926) piegò tecniche della narrativa fantastica a rappresentazioni costruite con minuziosa verosimiglianza e allo stesso tempo caratterizzate da un angosciante senso dell'assurdo e da inquietanti trasfigurazioni oniriche: le private ossessioni psicologiche dell'autore si trasformano in densi simboli del destino umano, in un mondo privo di dei e oppresso da misteriose, incombenti presenze superiori. Anche l'incompiuto, colossale romanzo di Musil intitolato L'uomo senza qualità (1930-1933, ma altri quattordici capitoli già rivisti dall'autore furono pubblicati dopo la sua morte, avvenuta nel 1942) è uno dei grandi capolavori della letteratura del Novecento. Mescolando narrazione e riflessione saggistica, Musil sconvolse le tradizionali tecniche romanzesche, costruendo una grande metafora dell'aspirazione dell'uomo alla totalità, e insieme dell'impossibilità di raggiungere una verità che non sia provvisoria e parziale. Il romanzo italiano fra Otto e Novecento:Durante la seconda metà dell'Ottocento sull'onda della corrente filosofica del Positivismo nella letteratura prese forma il Realismo che in Italia prese il nome di Verismo. Il massimo esponente del verismo e stato certamente Giovanni Verga i cui romanzi (a partire da Nedda) ambientati in paesaggi siciliani rurali cercavano di raccontare nel modo più oggettivo possibile la vita di quei luoghi senza lasciare all'autore nessun tipo di giudizio personale . Dopo il periodo verista la letteratura italiana visse un'epoca di profonda crisi della narrativa, la cui tradizione, già debole per motivi storici, venne ulteriormente compromessa dalle scelte antinarrative della letteratura decadente. Ciò nonostante, tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del nuovo secolo, furono sempre maggiori le influenze delle grandi letterature europee e dei grandi autori d'avanguardia. Già uno scrittore come Gabriele d'Annunzio, che nel Piacere (1889) aveva ancora conservato una relativa linearità d'intreccio, attraverso opere come Trionfo della morte (1894) e Il fuoco (1900) giunse a una vera e propria negazione del romanzo. Più profondo e più moderno fu il percorso di Luigi Pirandello, che riuscì a equilibrare spinte sperimentali e narratività in un romanzo fondamentale come Il fu Mattia Pascal (1904). Intenzionalmente frammentaria, saggistica e antiromanzesca fu invece un'opera come Uno, nessuno e centomila (1926), cui lo scrittore siciliano affidò il compito di riassumere la propria sconsolata visione del mondo. Ai margini dell'ufficialità letteraria nazionale, intanto, il triestino Italo Svevo compiva un personalissimo cammino, che lo avrebbe portato nella sua opera narrativa a corrodere dall'interno la tradizione naturalistica, attraverso l'invenzione di eroi inetti che, dopo i romanzi Una vita (1892) e Senilità (1898), avrebbero trovato la loro massima realizzazione in La coscienza di Zeno (1923), libro fondamentale della letteratura europea del Novecento. |