Italo Svevo (Pseudonimo di Ettore Schmitz)

Nato a Trieste nel 1861 e morto a  Motta di Livenza, Treviso nel  1928, Svevo fu il romanziere italiano, la cui opera costituì un momento di passaggio tra le esperienze del decadentismo italiano e la grande narrativa europea dei primi decenni del Novecento. La coscienza di Zeno, in particolare, avrebbe influenzato la narrativa italiana degli anni Trenta e del dopoguerra.

La sua esperienza di impiegato gli ispirò la prima opera pubblicata in volume, Una vita (1892). Il romanzo, che portava in origine il titolo "Un inetto", è incentrato sul personaggio di Alfonso Nitti, incapace di adattarsi alle leggi e all'ambiente dell'ufficio e infine sconfitto dalla sproporzione tra le alte aspirazioni (la pubblicazione di una grande opera, il successo in società) e la sua incapacità di tradurre l'ideale in azione. Il romanzo successivo porta il titolo Senilità (1898), dove il riferimento non è al dato anagrafico bensì alla patologica vecchiaia psicologico-morale di Emilio Brentani. Questa seconda figura sveviana dell'"inetto" è circondata da altri personaggi che acquistano nuovo spessore rispetto al romanzo precedente: la sorella Amalia, malinconica e "incolore"; Stefano Balli, scultore di poca fama ma uomo energico nella vita e fortunato con le donne; e la procace, sensuale ed esuberante Angiolina. Emilio, letterato di scarso successo, prende a modello l'amico Balli e, nel tentativo di riscattare la mediocrità e il grigiore della propria vita, intreccia con Angiolina una relazione che si rivelerà fallimentare per l'incapacità di Emilio di tradurre in pratica la lezione dell'amico e per la tenacia con cui proietterà nella donna i propri sogni idealizzanti.

L'insuccesso dei primi due romanzi indusse Svevo a circa vent'anni di silenzio letterario, ma, nonostante le responsabilità imposte dalla sua nuova posizione di dirigente nella ditta di vernici del suocero, Svevo non cessò del tutto di coltivare la letteratura, come testimoniano alcuni suoi racconti: l'inizio della stesura della Madre, ad esempio, risale al 1910, sebbene il racconto sia stato pubblicato postumo, nel 1929, nella raccolta La novella del buon vecchio e della bella fanciulla; e prima del 1912 si colloca anche la scrittura di alcune delle prose brevi raccolte nel volume Corto viaggio sentimentale, pubblicato nel 1949.

Nel 1905 Svevo cominciò a prendere lezioni di inglese da James Joyce, con il quale intrecciò un'amicizia che si sarebbe rivelata feconda per il suo futuro percorso letterario. Joyce, che soggiornò a Trieste fino al 1915, lesse con entusiasmo le opere di Svevo (soprattutto Senilità) e lo incoraggiò a scrivere un nuovo romanzo. Svevo, da parte sua, poté leggere non soltanto le opere joyciane già pubblicate ma anche i manoscritti di quelle ancora in fase di stesura (certamente lesse Dedalus). Intanto, nel 1908, si era accostato all'opera di Freud, che gli avrebbe fornito altri fondamentali strumenti per scandagliare la "coscienza" del terzo inetto, Zeno Cosini.

Fu durante la prima guerra mondiale che Svevo cominciò a elaborare La coscienza di Zeno (1923), unanimemente considerato il suo capolavoro. In questo romanzo l'autore sviluppa un'analisi psicologica di straordinaria profondità e costruisce tecniche narrative modernissime, soprattutto per la tradizione del romanzo italiano. La prima pagina, scritta nella finzione letteraria dallo psicoanalista di Zeno, presenta la narrazione come un'autobiografia del paziente, una rievocazione del passato richiesta dal medico come tappa preliminare alla terapia analitica. E attraverso la rappresentazione interiore della nevrosi del protagonista e narratore, l'autore riesce a rendere la soggettività del pensiero e dei ricordi, in una narrazione che appare ormai quasi completamente svincolata dalle convenzioni realistiche ottocentesche. Ma la novità di Svevo sta anche nella sua dissacrante ironia, nella costruzione di un protagonista radicalmente antitragico e antieroico.

Furono Eugenio Montale e Joyce ad avviare la "scoperta" di Svevo, il primo pubblicando nel 1925 Omaggio a Italo Svevo sul periodico milanese "L'Esame" e il secondo parlando dello scrittore triestino agli amici Benjamin Crémiex e Valéry Larbaud, che nel 1926 dedicarono a Svevo un numero della rivista parigina "Le Navire d'Argent". Tuttavia la fortuna critica ebbe consacrazione ufficiale un anno dopo la morte dello scrittore – avvenuta in un incidente automobilistico – con un numero speciale dedicato a lui dalla rivista fiorentina di letteratura "Solaria".